Amo ergo sum

Riparare e trasformare le ferite dell’anima

L’antica arte giapponese del Kintsugi ci insegna a trasformare le ferite dell’anima in un prezioso patrimonio di consapevolezza. Articolo di Silvia Turrin

Kintsugi è una tecnica ancestrale giapponese, che consiste nel riparare un oggetto rotto con polvere d’oro. In questo modo, esso, anziché gettato, viene impreziosito e, anzi, le fratture provocate dalla caduta non sono nascoste, bensì messe in evidenza.

L’oggetto ha una seconda vita e la sua bellezza risulta accentuata ancor più di prima. Il processo di riparazione può essere estremamente lungo, da poche settimane a vari mesi, e laborioso, a seconda delle dimensioni e del numero delle crepe e spaccature. Gli artigiani sono molto precisi, ci ricorda Silvia Turrin nel suo articolo per Elisir di Salute, attenti e devono conoscere le caratteristiche dell’oggetto che necessita delle loro cure.

Trasformare le ferite

Dal punto di vista psicologico e simbolico, l’arte del Kintsugi ci insegna a trasformare le ferite del corpo e dell’anima in un prezioso patrimonio di consapevolezza e possibilità. Proprio come gli oggetti rotti, una tazzina, un piatto, una ciotola di ceramica, vengono impreziositi con polvere d’oro, così le fratture fisiche e/o psichiche, emozionali possono diventare punti di forza.

Su questo argomento, l’esperta di psicologia del profondo Selene Calloni Williams, ha scritto un libro, divenuto bestseller, intitolato “Kintsugi. Ripara le ferite dell’anima e rendi prezioso ogni istante della tua vita”. Ecco come ci spiega il concetto del Kintsugi: “Ognuno di noi ha nella propria anima delle ferite. Le fratture non sono né negative, né positive. Dal punto di vista simbolico e immaginale, esse possono diventare una potenza devastante, di cui sentirti vittima, oppure trasformarsi in grandi alleati. Per comprendere meglio, occorre ricordare che il Kintsugi deriva dal principio estetico giapponese chiamato “Wabi-Sabi”, secondo cui vi è bellezza nella semplicità e nell’imperfezione. Da questa prospettiva, un oggetto rotto è imperfetto ed è bello. A livello simbolico possiamo dire che il Kintsugi è una metafora della resilienza, e possiamo applicarlo a noi stessi”.

Proprio come il processo di riparazione di un oggetto rotto richiede tempo, così anche le nostre ferite, per essere valorizzate e trasformate nella polvere d’oro della consapevolezza, hanno bisogno di cure e attenzioni.

Anziché nasconderle, che può essere pericoloso perché possono ritornare visibili, accettiamo le nostre ferite. Non possiamo modificare gli eventi del passato. L’arte del Kintsugi ci insegna a non cadere nel vittimismo ma a reagire, a vivere il presente.

Come riparare i traumi

Poichè ogni individuo ha un proprio cammino di vita, non vi sono risposte precise adatte a tutti alla domanda “Come posso riparare i traumi subiti?”. Tuttavia, vi sono alcuni elementi e concetti da cui partire, che ognuno può considerare. Innanzitutto, occorre ripensare al “dolore” come generalmente lo si intende. Come afferma SCW: “Qualsiasi dolore, fisico o psicologico, non ha lo scopo di farci soffrire, ma di scuotere l’anima dal suo torpore e di chiamarci a un viaggio iniziatico. Lo sa bene chi, proprio a causa di una malattia, ha cambiato stile di vita, magari passando a un’alimentazione più sana o addirittura rivoluzionando del tutto la propria esistenza. 

Lo sa chi, in seguito alla perdita di un lavoro, a un fallimento o a un matrimonio sbagliato, ha compiuto il grande viaggio sotterraneo e ha trovato in sè la forza e la resilienza che lo hanno riportato alla vita con una libertà tutta nuova”. 

Cosa ci insegna il dolore

Da questa prospettiva, il dolore può insegnarci molto, su di noi, sulle nostre emozioni, sulla nostra psiche e sul nostro cammino di vita. Per apprendere dal dolore occorre ascoltare e ascoltarsi, fermarsi, stare in silenzio in modo consapevole. Se il dolore si intensifica, secondo la visione simbolica e immaginale, si è sulla strada giusta per trasvalutarlo. Non bisogna lamentarsi, poichè il lamento è segno di debolezza, impotenza, incapacità a cambiare. Reagire in modo consapevole al dolore è un atto di amore e di resilienza. Oltre a ciò, occorre superare l’idea che “le cose sono così perchè devono essere così”. Le credenze limitanti, come l’idea che il dolore è male e non uno stimolo positivo al cambiamento, riducono e ostacolano le nostre scelte. Rischiamo infatti di attivare meccanismi di auto-boicottaggio. Se non nutriamo preconcetti e se rompiamo gli schemi comuni, abbiamo la libertà di decidere quale direzione prendere nel nostro percorso esistenziale, al di là delle ferite del passato. 

Infine, per riparare le ferite con la polvere d’oro della consapevolezza occorre amarsi e includere quindi nel proprio sè energie, capacità e talenti sopiti. Se, a causa del peso delle ferite del passato, si disperdono le energie, allora non ci amiamo, perchè non viviamo nel presente, perchè ci “giudichiamo”. Amarsi significa considerare le nostre cicatrici come finestre che lasciano entrare la luce nel nostro sè più profondo. 

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Morgan K Barraco