La mia storia con i gatti inizia nella mia infanzia, in una casa dove ce n’erano almeno venti. Sono cresciuta circondata da questi piccoli compagni, ognuno con il suo carattere e la sua particolarità. Quando sono diventata adulta e ho costituito la mia famiglia, ho continuato a vivere con i gatti: non riuscivo a immaginare la mia vita senza di loro. Il mio primo gatto si chiamava Lume, un piccolo gattino di pochi mesi, l’ultimo rimasto di una cucciolata. Mia madre aveva regalato i suoi fratelli e sorelle ad altre famiglie, ma io mi ero subito legata a lui, e lui a me. Era il mio compagno di giochi, mi seguiva ovunque e ogni giorno, al mio ritorno da scuola, mi aspettava al cancello del giardino.
Purtroppo, un giorno, la nostra tranquillità venne infranta dallo zio Attila, un vicino senza scrupoli che aveva sparso bocconi avvelenati attorno alla sua rimessa. Lume ne mangiò uno e morì tra le mie braccia, tremando per il dolore. Ricordo ancora come stringeva un rametto tra i denti, quasi per lenire la sofferenza. Ho pianto a lungo, incapace di accettare quella perdita. In quel momento, stesi sul letto il corpo caldo di Lume e mi sdraiai accanto a lui, in silenzio. Non so dire perché, ma quella vicinanza era necessaria. Restammo così, uno accanto all’altro, per quello che sembrò un tempo infinito.
Poi mi alzai, mi sentivo diversa. Come se qualcosa dentro di me fosse cambiato per sempre. Camminai fino alla cucina e mi sedetti a tavola, con una calma inspiegabile. Quando dissi ai miei genitori che Lume era morto, esplosero in un grido di disperazione, ma io mi sentivo in una bolla di silenzio e serenità. In quel momento non c’era più un confine netto tra la vita e la morte. Qualcosa si era trasformato profondamente dentro di me.
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