Amo ergo sum

Le costellazioni familiari, la psicogenalogia e l’immaginale

Le costellazioni familiari, la psicogenalogia e l’immaginale

La psicogenealogia è una disciplina che si occupa degli influssi che gli avi possono avere nei confronti di un discendente. Quello della psicogenealogia è un campo multidisciplinare che coinvolge la psicologia e le scienze etnoantropologiche.

Come parlare di influenze degli antenati, infatti, senza fare riferimento alle culture ancestrali nelle quali i culti degli avi risultano centrali?

La tribù, a differenza della società moderna, non conosce separazione tra vivi e morti. Nelle realtà tribali che hanno conservato il sentire animista dei primordi, i morti e i vivi sono distinti ma non separati. Essi esistono insieme e quando lo sciamano suona il tamburo si radunano e, in qualche modo, comunicano fra loro, e questa pare essere la cosa più naturale del mondo.

La psicogenealogia, sebbene parta da una visione scientifica moderna, non può non incontrare sul proprio cammino i culti delle tribù , essa può ignorarli solo a patto di dichiararsi rigidamente rinchiusa nelle categorie logiche del modello simbolico patricentrico. Per chi vuole tentare l’avventura di conoscere un mondo altro rispetto a quello abituale la psicogenealogia apre un cammino in gran parte inesplorato che porta a mondi ancora incontaminati dal bisogno di potere.

La psicogenealogia e le costellazioni risultano essere efficaci poiché permettono alla nostra anima selvaggia e al nostro Io istintuale di tornare a casa, di ritrovarsi, di respirare, e questo non solo in virtù delle tecniche che applicano ma anche grazie alla filosofia naturale di cui si nutrono.

Chi fa psicogenealogia è un esploratore di un mondo “altro” dove lo stato naturale assorbe, rigenera e restituisce qualsiasi cosa alla vita. Qui la morte, come è concepita nel mondo ordinario, semplicemente non esiste, ma vi è un eterno rinnovamento della capacità di ogni essere di darsi.

Il carattere multidisciplinare della psicogenealogia ne fa una materia difficilmente collocabili in ordine accademico, tuttavia noi ci auguriamo che questa disciplina possa trovare lo spazio che merita negli atenei. Essa può rispondere in modo efficace a molti mali oscuri della nostra epoca e aiutare nuove visioni e novi pensieri a fiorire.

Per quanto concerne l’aspetto etnoantropologico della psicogenealogia, il mio modo di fare psicogenalogia e costellazioni familiari fa riferimento alle mie ricerche in Tibet presso i nagpa, che sono sciamani psicopompi di tradizione Bön, e in Myanmar, presso le tribù degli Eng e dei Padaung e presso le comunità di sciamani e cantori che vivono a Pagan, la città sacra, ma anche si riferisce alle conoscenze che ho potuto acquisire in Sri Lanka e in Birmania presso gli eremi della foresta dei monaci theravada dove sono ancora vive tradizioni e culti millenari, e in Ladakh presso le oracolesse tantriche.

Per quanto riguarda, invece, la mia visione della psicogenealogia, essa risente molto della passione che nutro per la psicologia archetipica immaginale di James Hillman.

Nella psicologia immaginale si ritiene che “fare anima senza fare diagnosi” – per usare una celebre espressione di James Hillman – debba essere la principale occupazione della psicologia stessa. L’idea centrale di questa disciplina è che l’anima naturale si esprime a mezzo di “immagini”, perciò la conoscenza delle immagini che “abitiamo” è fondamentale sulla via della realizzazione di noi stessi.

L’anima naturale è l’anima selvaggia, il potere delle ossa, l’Io istintuale, il respiro cosciente della Grande Madre nell’essere umano. L’anima naturale si esprime nel cosiddetto “immaginale” o “liminale”, la zona che è tra l’inconscio e il conscio. In questo punto di incontro conscio ed inconscio, immaginazione e realtà, non si scindono, ma operano in maniera fusa. (Giulio Maria Chiodi, Propedeutica alla Simbolica Politica, Milano, 2010, ed. Franco Angeli, p. 11.).

Qui sono sovrani i simboli e gli archetipi, che sono le forme delle esperienze.

L’anima è materiale astorico, universale e non può essere filtrata attraverso le categorie diagnostiche se non venendone snaturata. La psicologia dell’immaginale è dunque non-diagnostica, essa non è tanto tesa a creare una terapia alternativa, quando a proporre una alternativa al paradigma terapeutico che, se propagandato ad oltranza dalla cultura dominante, rischia di essere visto come la sola soluzione a disagi e diversità.

Nella misura in cui la psicologia dell’immaginale, unita alla psicogenealogia, si propone come disciplina non-terapeutica nei confronti dell’individuo, si evidenzia altresì come uno strumento efficace per una revisione della cultura, una “terapia della cultura”, appunto.

La cultura e la società rappresentano la famiglia della famiglia. Una cultura portata a instillare continuamente nella psiche l’idea che in essa vi sia qualcosa di sbagliato, di sporco, di malato da correggere ostacola e non sostiene la realizzazione dei suoi componenti. Per una volta bisogna prendere in considerazione la devianza del sistema partendo non già dalla sofferenza delle sue componenti ma dal malfunzionamento dell’insieme stesso.

Oggi le moderne teorie della complessità hanno messo in evidenza che il sistema ha una sua propria “anima”, una propria capacità di auto-organizzazione. Allo stesso modo in cui uno stormo di uccelli si organizza sulla base di una conoscenza istintiva, così il sistema famiglia e il sistema società hanno una capacità di auto-organizzazione indipendente dalle conoscenze delle loro singole componenti, gli individui.

Immaginiamo che in un sistema – uno stormo di uccelli, per esempio – da sempre guidato da un’anima istintiva, improvvisamente compaia la sete di potere. Immaginiamo che, spinti dalla sete di potere, alcuni uccelli operino al fine di deprivare il sistema della sua anima selvaggia così da ridurre l’intero funzionamento del sistema in loro potere. Ora, se agli uccelli sostituiamo gli esseri umani, il nostro immaginare si fa d’un tratto eccezionalmente realistico.

L’inabissamento dell’Io istintuale ad opera della sete di potere nella nostra società e cultura – intesa come sistema dominante di credenze – conduce all’aberrazione.

La donna è l’essere più vicino all’istinto e all’anima selvaggia, quindi Le donne non possono sottrarsi. Se cambiamento deve esserci, quello siamo noi!

Copywrite 2011 Selene Calloni Williams. Puoi divulgare questo testo in tutto o in parte.
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Morgan K Barraco