Selene: Buongiorno, sono con Michelangelo e con un sacco di persone meravigliose in un luogo stupendo all’Isola D’Elba.
Ho chiesto a Michelangelo di partecipare alla diretta per parlare di cosa accade quando il mito entra nella realtà.
Quando succede la cosiddetta realtà va in frantumi e questo può riguardare una civiltà ma anche la nostra vita personale, sicché avere consapevolezza di questo fenomeno è molto importante.
Come sapete Michelangelo è un antropologo e ci può fare degli esempi in cui è successo che a causa dell’entrata del mito nella realtà le civiltà sono finite.
Michelangelo: Sì, si tratta di un processo che in antropologia chiamano mitopoiesi. cioè la creazione e ri-creazione di un ordine sociale, culturale attraverso l’interazione dei vari miti. Quando tu (rivolto a Selene) fai le costellazioni e tutte le altre bellissime cose che fai, ti concentri sul mito come struttura portante della vita di una persona. In antropologia si pensa alla cultura come struttura portante di tutto un ordine sociale, quindi, della vita di un popolo,e così si pensa alla cultura di un’impresa, di uno Stato, di un’istituzione.
Un antropologo quando va a studiare una cultura molto distante dalla propria, soprattutto le culture cosiddette “primitive”, culture che si basano su una tradizione orale, scopre che la mitologia è ancora lo strumento principale sul quale si basa tutto l’ordine sociale, quindi anche l’ordine dei valori etici, del rapporto tra le varie generazioni e così via. Tutto si basa sui miti, quindi su narrazioni, su storie epiche, eroiche.
Le azioni compiute dagli eroi, dagli dèi, strutturano in modo anche molto dettagliato le azioni degli esseri umani: dei re, dei preti, dei contadini, dei guerrieri e così via. Tutte le azioni all’interno della società si modellano su queste miti. E se il mito è una struttura si pone sempre il problema che si pone in tutte le discipline che studiano l’uomo, dalla filosofia alla sociologia, alla storia.
Michelangelo: È possibile che poi queste strutture cambino? Cioè, com’è possibile che da un mito si vada a un altro? Come è possibile che un’intera cultura o un’intera società esca da un mito e ne abbracci un altro?
Che poi è anche il problema della vita delle persone. Quando Selene ti parla del mito che metti sulla scena della vita vivendo, come fai ad uscirne? Selene ha tutta la sua serie di rituali, che, partendo dalla consapevolezza, permettono poi di superare il mito.
Alcuni antropologi pensano che una società sia composta da tanti miti che interagiscono; quindi, non c’è mai soltanto un copione che tutta una società segue, perché ogni società è un insieme di tensioni, di interessi diversi.
Per esempio, si può dare un’interpretazione marxista di una società vista come un insieme di conflitti tra varie classi diverse. Allora si può dire che quando il proletariato esce da una condizione di egemonia culturale, come direbbe Gramsci, incomincia a narrarsi un mito diverso, che va contro quello della borghesia. E allora si genera una battaglia tra miti diversi.
Michelangelo: Una volta erano maggioritarie le società senza scrittura; al giorno d’oggi almeno dall’Ottocento sono minoritarie. Quello che interessa gli antropologi è l’incontro tra queste società primitive e le società più sviluppate.
L’incontro coloniale è stato uno degli eventi più importanti degli ultimi 200 anni, che ha cambiato l’umanità a livello globale. L’incontro coloniale, dal punto di vista dell’antropologia strutturalista, è un incontro tra due miti molto diversi: tra il mito quello occidentale che nell’Ottocento, al tempo della massima espansione coloniale, era basato sui valori dell’illuminismo e i miti di culture animiste, che vivono ancora nello stato di natura.
In Occidente nella Costituzione degli Stati sono stati inseriti i diritti dell’uomo intesi nel senso capitalista, liberale, dell’individuo che è anche imprenditore e che quindi ha il diritto di sfruttare la natura e le risorse della natura per produrre un certo profitto. Qui la natura è vista come materia. E l’uomo primitivo, che sembra vivere in stato naturale e non è civilizzato dal punto di vista dell’uomo occidentale dell’Ottocento, e che quindi fa parte della natura, forse può essere sfruttato anch’esso, o forse no.
Forse non è parte della natura, forse è solo un uomo che non è pienamente civilizzato e che quindi deve adottare il mito occidentale e va accompagnato alla civilizzazione.
Michelangelo: Poi c’è la questione se i “selvaggi”, dal punto di vista dei colonizzatori, abbiano un’anima. Se non hanno un’anima, allora sono parte della natura. Dio ha creato la natura per noi, affinché noi possiamo servircene e quindi noi possiamo servirci di questi, di questi animali in pratica, che non hanno un’anima completamente umana per utilizzarli come schiavi.
Ci sono stati tantissimi membri del clero, missionari spagnoli, che invece hanno sostenuto che gli indios hanno un’anima e devono essere convertiti in meticci, cosa che ha portato ad un tipo di violenza completamente diverso, ma sempre violenza è stata.
Ecco, l’incontro coloniale è l’incontro tra due miti molto diversi: i miti delle culture prevalentemente animiste, vicine alla natura, e il mito di una società capitalista, di una società molto gerarchica e violenta, come quella del primo capitalismo occidentale.
Recentemente stavo scrivendo un articolo sulle Hawaii, sul regno delle Hawaii che è esistito durante quasi tutto l’Ottocento ed è stato uno dei pochi regni creati da una popolazione non occidentale, sulla base di un sistema politico precoloniale. Un sistema politico hawaiano che esisteva prima che arrivassero gli inglesi alla fine del Settecento, ma che è riuscito ad essere riconosciuto ufficialmente da praticamente tutte le maggiori potenze occidentali per quasi un secolo intero, fino agli anni 90 dell’Ottocento, quando gli Stati Uniti hanno usurpato il trono delle Hawaii. C’è stata una specie di colpo di Stato e gli Stati Uniti hanno annesso le isole Hawaii e questo è un evento molto studiato in antropologia.
Su questo evento ha scritto molto negli anni 70 Marshall Sahlins, antropologo americano marxista. Si è concentrato sul primo momento in cui gli inglesi sono arrivati alle isole Hawaii. I primi europei ad arrivare alle Hawaii sono stati gli uomini del capitano Cook, il famoso capitano Cook che stava esplorando tutto il Pacifico. In quel periodo c’era una forte competizione tra gli inglesi e francesi per mappare tutte le isole del Pacifico. Il capitano Cook ha scoperto le isole Hawaii, in cui abitava una popolazione polinesiana da quasi 3000 anni.
Il capitano Cook è arrivato per la prima volta alle Hawaii alla fine del mese di gennaio, che coincide con il periodo del Capodanno. Nella cultura hawaiana, il Capodanno celebra la divinità della fertilità.
La divinità della fertilità hawaiana, una divinità maschile, il Dio, l’Uno sta a rappresentare la fertilità, ma rappresenta anche tutto il potere in generale, perché nelle culture polinesiane si pensa che il potere sia il potere della generazione, il potere di creare cibo e il potere politico dei re. Anche il potere religioso, quello dei preti, è qualcosa che deriva dall’usurpazione dell’uomo sulla natura: l’uomo deve rubare. La terra è il principio di creazione, di nutrimento che proviene dal dio. Forse tutto questo ha anche a che vedere col fatto che il popolo polinesiano si è espanso di isola in isola, portando animali e piante nuove che hanno distrutto l’ecosistema dell’isola o comunque l’hanno cambiato completamente e quindi, in un certo senso, ogni nuova isola che si incorporava in questo mondo polinesiano era una terra vergine che l’uomo andava a prendere e a rendere propria per poter sopravvivere.
Nella mitologia polinesiana il potere deriva da un furto che viene fatto ad un dio, il furto appunto della terra. E la persona che più di tutte si rende colpevole di questo furto è naturalmente il re. Quindi, il re deriva tutto il suo potere sul popolo e sulla terra che questo popolo coltiva, dall’uccisione rituale di Lono, il dio della fertilità.
Cook giunge alle Hawaii dopo aver circumnavigato tre volte l’isola di Maui, come il dio Lono fa nel mito, e viene riconosciuto come il dio Lono incarnato.
Selene: È sfiga!
Michelangelo: Il fatto è che la prima volta che il capitano Cook arriva alle Hawaii, intorno al 1693-94, riparte, senza saperlo, proprio il giorno dell’uccisione rituale del dio.
Il capitano Cook ritorna un anno più tardi, con tre giorni di ritardo, ma sempre nello stesso periodo. Viene riconosciuto di nuovo come la reincarnazione del dio buono che, come ogni anno, ritorna per rigenerare la natura.
Poi cosa succede? La ciurma di inglesi del capitano Cook si arrabbia per il fatto che i servi del re hanno rubato le armi e tutti i pezzi metallici, perché per loro era un rubare le offerte dall’altare, la nave del dio Lono.
E allora il capitano che cosa fa? Rapisce il capo del villaggio, se lo porta sulla nave e dice: “Io non vi do il capo fino a quando non ci riportate tutte le cose che ci avete rubato!”
Poi ci sono tutte le ragazze hawaiane che si danno con passione alle gioie sessuali con gli inglesi perché per loro è un avvicinarsi alla divinità.
Il Capitano Cook cerca di proibire in modo perentorio ai membri dell’equipaggio di accoppiarsi con le hawaiane ma non ci riesce e i mariti si arrabbiano e cominciano i combattimenti.
Vi è piano piano uno sgretolarsi del mito, uno sgretolarsi di tutte le gerarchie all’interno della società hawaiana, in cui il rapporto con la divinità è qualcosa che è accessibile soltanto ai re, all’aristocrazia e ai membri del clero. E ora, invece, ci sono le ragazze comuni che si danno a degli atti sessuali con la divinità e allora capovolgono tutta la gerarchia che sta all’interno della società.
E il re che dovrebbe riconfermare il proprio potere uccidendo il dio viene invece rapito da questo dio. Alla fine, il capitano Cook ritorna per negoziare il ritorno del capo villaggio e riprendersi le proprie cose e viene ucciso da un membro della guardia del re locale imprigionato. È un momento che cambia per sempre il mito all’interno della società hawaiana.
Si instaura all’interno della politica hawaiana l’esigenza di vendicare il dio che è stato ucciso, un po’ come nel cristianesimo. Sahlins azzarda questo paragone col cristianesimo, che si basa sul senso di colpa nei confronti di un dio martirizzato.
È proprio subito dopo l’uccisione di Cook che, anche attraverso le armi che gli hawaiani riescono a prendere dalle navi degli inglesi in un sistema di scambio, che per gli inglesi è capitalista, ma per gli hawaiani è profondamente rituale, il regno delle Hawaii si espande conquistando altre isole.
Con questa narrazione, con quest’idea di vendicare l’uccisione del dio, vendicare il capitano Cook, il re delle Hawaii si riferisce al re inglese come al proprio fratello maggiore, origine del suo potere terrestre. Pochi anni dopo il capitano Vancouver, sempre inglese, arriva alle Hawaii e regala, come facevano dappertutto gli inglesi a quei tempi, la bandiera britannica a Kamehameha, che la adotta come bandiera del suo regno.
Ancora oggi alle Hawaii c’è la bandiera britannica. Lo stesso Kamehameha chiede al capitano Vancouver di sottomettere tutte le Hawaii all’impero britannico ma gli inglesi rinunciano dicendo: “siamo amici”. Si tratta del primo atto di riconoscimento del regno delle Hawaii come regno indipendente. Anche se gli aborigeni, almeno agli inizi, non si riconoscono come pienamente indipendenti, proprio perché il re riconosce di derivare il proprio potere da un elemento divino, che poi viene materializzato in questa idea di Inghilterra che nessuno conosce, tranne per le navi che arrivano, portano cose sconosciute, hanno le armi, oggetti metallici e così via.
Questo è un esempio di mitopoiesi, cioè di due miti che si incontrano. Il capitano Cook seguiva il mito del portare il capitalismo inglese in tutto il mondo. Il capitano Cook sosteneva che bisognava arrivare in una terra nuova e immediatamente stabilire un’alleanza con l’aristocrazia. Infatti, faceva di tutto per diventare amico dei re di ogni isola in cui arrivava, perché riteneva che fosse il modo migliore per poi stabilire il libero commercio per gli inglesi.
In un certo senso, quindi, c’era questo mito del capitalismo, questo mito del giusto scambio, che non può permettere l’essere derubati delle proprie cose.
Nella mitologia hawaiana è tutta un’altra cosa; derubare il dio è un entrare in un rapporto con il divino.
Questi due miti si scontrano e finiscono per mischiarsi. Questo è un esempio estremo, in realtà non c’è stato uno scambio; una volta che un mondo come quello occidentale capitalista in espansione arriva non si può più fermare. Lo sanno bene gli indiani d’America!
L’antropologia degli anni 60 70 nasce anche come reazione all’idea di Gramsci dell’egemonia culturale.
L’antropologia pensa che anche la popolazione colonizzata, anche il proletariato più sfruttato ha sempre l’opzione di pensare in termini di un altro mito. La società non è mai sotto l’egemonia di una sola cultura, ma è un insieme di culture che si scontrano e si trasformano e spesso vanno anche in armonia. Ma che portano ad un costante trasformarsi.
E non c’è mai solo un mito. Ci sono tanti miti che agiscono all’interno dell’animo, di una cultura, di una nazione e che portano un costante rinnovarsi dell’insieme della struttura.
Selene: E dei fatti. Io ero partita dall’esempio del Dalai lama e quindi del crollo di questa cultura, come dall’esempio degli scandali pontifici e quindi del crollo anche di quest’altra cultura. La nostra è un’epoca molto importante nella quale assistiamo al crollo di diversi miti. A volte mi sembra che sia il dio Pan a far crollare questi miti.
Pan è l’unico dio che è morto. Quando le navi del retore Epiterse stavano facendo ritorno a Roma sentirono una voce tonante che disse al capitano che si chiamava Thamus: “Thamus, quando le navi arriveranno in porto, dovrai annunciare a gran voce che Pan, il grande, è morto!”
Thamus e tutti i marinai tremarono di paura e non vollero dare l’annuncio. Però la voce era così imperativa che alla fine decisero che se fossero arrivati in porto e ci fosse stata calma di vento, avrebbero dato l’annuncio, altrimenti no.
Quando arrivarono in porto ci fu una bonaccia assoluta e quindi Epiterse dovette alzarsi in piedi e annunciare a gran voce che Pan, il grande, era morto. Subito, narra lo storico Plutarco, si levò dalle coste un gemito che non ebbe mai fine.
Pan era proprio il dio dell’onanismo, della sessualità che oggi consideriamo perversa, deviata. Era il dio dell’abuso sessuale, il dio che violentava le ninfe perché era così brutto che nessuna gli si concedeva spontaneamente e quindi le rincorreva e le violentava, oltre a praticare l’onanismo. È il dio che è stato ucciso da una certa cultura più moralistica e sembrerebbe quasi che questo dio si prenda la sua vendetta su questa cultura perché la cosa che più fa affondare le Chiese in questo periodo è proprio lo scandalo sessuale.
Michelangelo: Dal punto di vista antropologico non è una cosa stupefacente perché, come diceva l’antropologo francese Lévi-Strauss, ogni cultura si basa sui tabù e il primo tabù ha sempre a che fare con la sessualità. Infatti, il tabù, è l’atto fondante di qualsiasi cultura; qualsiasi cultura si fonda proprio su questo, sulla discriminazione tra coloro con cui un membro di una qualche comunità può figliare e coloro con cui non può figliare.
Addirittura, ci sono antropologi che sono arrivati a dire che la l’individualità stessa si fonda su questa idea, perché nelle culture primitive non c’è un tu e un io, c’è un insieme, un tutt’uno dell’uomo con la natura, ma il fatto che nasca la necessità di discriminare tra coloro con cui puoi figliare e coloro con cui non puoi figliare crea divisioni all’interno del clan, crea la famiglia, fino ad arrivare all’individuo.
È proprio l’opposto di quello che pensiamo in Occidente: noi partiamo dall’individuo, che crea la famiglia, poi il clan, poi la nazione e, infine, l’umanità.
Lo sviluppo della cultura funziona in senso opposto. Vi è un tutt’uno, vi è un non-Io, un insieme cosmico che, piano piano, si frammenta fino ad arrivare all’io con tutti i suoi tabù sessuali.
Selene: Il primo grande mito è la sessualità e il secondo è la natura, perché per Platone la natura è un’idea dell’uomo, esattamente come gli dèi, ma in questa civiltà capitalista la natura è diventata un oggetto materiale da sfruttare, come diceva Michelangelo.
E quindi le persone confondono la natura con l’albero, con i papaveri, con la montagna affermano: “mi piace stare nella natura perché sto in mezzo agli alberi, in mezzo ai papaveri”; ma quella è la natura per la tua mente, quella natura oggettiva che in fondo è una creazione del capitalismo, mentre la vera natura è il dio Pan, sono le ninfe, sono i kami e i megami per i giapponesi.
L’anima è la vera natura!
Le persone oggi fanno questa discriminazione forte tra natura e cultura per cui soffrono nell’essere chiuse in un ufficio in una stanza, voglio andare in mezzo al bosco, in mezzo agli alberi. Si sentono costrette da qualcosa che si sono costruite e diventano vittime del loro mito della natura, che è un mito capitalistico.
Quindi siamo un po’ tutti vittime di questo capitalismo, che sarà l’ultimo dei miti a crollare. Dopo il crollo della religione, o forse insieme, crollerà anche il mito capitalista, perché ormai è arrivato ad un livello degenerativo in cui le persone non si rendono conto che vedendo la natura come oggetto materiale, ne provocano lo sfruttamento. Se è un oggetto materiale l’albero può essere tagliato e il fiore strappato, la natura può essere utilizzata.
Se invece la natura è il dio, il dio Pan, allora io non posso tagliare l’albero, non posso strappare il fiore. E quindi anche la natura è un tabù, un grosso tabù della nostra cultura. come la sessualità.
Io credo che a livello individuale, nella nostra quotidianità ciascuno di noi possa essere tanto più libero e felice quanto più comprende queste cose, quanto più comprende che cosa è il mito, quanto più comprende il funzionamento del mito nella vita sociale, ma anche nella sua vita personale.
Comprendere il mito, conoscere il mito, vedere il mito, capire come il mito si esplica e si esprime, vuol dire alla fine essere liberi.
Capire il mito, comprendere come si esplica, come si esprime, ci permette di non essere vittime, ci permettere di vivere come vogliamo, cioè ci permette di essere liberi.
Altrimenti avrai sempre un Dio che si vendica e non avrai mai il favore degli dèi. Se consideri la natura come un oggetto materiale, come albero, come fiore, ci sarà sempre il dio Pan, ci sarà sempre Demetra che, non riconosciuta, si vendica e ti costringe a stare in ufficio 24 ore al giorno, a fare una vita che non vuoi fare.
Perché?
Perché gli dèi puntano all’equilibrio e laddove l’equilibrio viene rotto dai tabù, tende sempre a ripristinarsi, anche a spese dell’individuo.
Sei d’accordo Micky?
Questi sono discorsi molto importanti che dobbiamo riuscire a comprendere per poi vivere le nostre vite in modo felice, sereno e libero.
È vero Tonina?
Tonina è una psicanalista, per cui si è nutrita di miti per tutta la vita.
Tonina: Sì. Ho sempre avvertito una sorta di sopruso dei miti greci sulla cultura sarda. Poi ho imparato i miti leggendo Selene e mi sono “rilassata” leggendo i miti e Ovidio, che poi ho cercato di digerire, diciamo così, ma profondamente sento una sovrastruttura nella mia essenza di persona.
Michelangelo: Tutto questo è interessantissimo perché il modo in cui è avvenuto l’espansionismo dal punto di vista mitologico nel mondo antico è simile, ma anche molto diverso da ciò che poi è avvenuto in Occidente. Nel mondo antico non vi era l’assolutismo tipico dell’Occidente e del cristianesimo, questo monoteismo in base al quale se sei cristiano sei pienamente umano, mentre se sei pagano, no.
Nel mondo antico vi era una costante possibilità di sovrapposizione dei miti, perché in tanti casi un dio valeva l’altro, nel senso che un dio sardo poteva benissimo essere assorbito, una dea sarda poteva benissimo essere assorbita da una dea romana o greca o fenicia.
Selene: La conoscenza del mito ormai è assolutamente fondamentale, specialmente in questi periodi di grande cambiamento del mito.
Grazie Michelangelo, grazie a Tonina tutti voi.
Un abbraccio!