Amo ergo sum

Amo ergo sum

Piogge e allagamenti: una meditazione per non affogare

Data diretta: 22 Maggio 2023
Facebook
Twitter
LinkedIn
Telegram
WhatsApp
Scarica il PDF

Buongiorno,

diversi di voi che vivono in Italia mi hanno scritto di parlare delle alluvioni che sono accadute e che stanno ancora accadendo, questa pioggia continua che fa straripare i fiumi sotterranei e provoca allagamenti. Queste cose accadono ciclicamente, il problema è che l’umanità non è mai pronta e l’ essere pronti è un discorso molto vasto, essere pronti interiormente è un relazionarci con la natura in un modo completamente diverso da quello che abitualmente utilizziamo.

Qual è il modo che abitualmente si utilizza per relazionarsi con la natura quando succedono i disastri come le inondazioni, i terremoti, la siccità eccessiva? È quello di dire che è colpa dell’uomo. L’uomo si sente sempre colpevole di fronte alla natura. È colpa nostra perché asfaltiamo le strade e la terra non può respirare, è colpa nostra perché cementifichiamo anche in aree dove non si dovrebbe, è colpa nostra perché inquiniamo, è colpa nostra perché scegliamo sempre le strade sbagliate e prima pensiamo a tirare fuori il liquido nero dalle profondità della terra e lo bruciamo per avere energia e questo è tossico, poi facciamo le batterie al litio pensando di risolvere la situazione ma inquinano anche quelle. Insomma, L’uomo non percorre mai la strada giusta, è sempre il colpevole di quello che succede.

Devo dire che questa è una mentalità molto giudaico cristiana, l’uomo è sempre colpevole, abbiamo il peccato addosso, siamo nati con il peccato e quindi siamo sempre in colpa.

Chi trae beneficio da questo modo di pensare?

Non di certo la natura e la storia lo dimostra. I disastri climatici e ambientali sono ciclici e non migliorano nel tempo. Il fatto che l’uomo si senta sempre in colpa non giova alla natura, giova al potere, ai signori della guerra, al principe, come direbbe Machiavelli. Certo, perché il principe, se vuole governare, deve rendere il popolo sempre colpevole, gli individui sono sempre colpevoli; se c’è un’epidemia è colpa loro perché non si lavano bene le mani, se c’è un’alluvione è colpa dell’uomo che utilizza la macchina per andare al lavoro, vuole possedere la casa anche se non la abita, cementifica troppo, asfalta troppo.

Questo perché il principe, machiavellicamente parlando, riesce a governare meglio facendo sentire sempre in colpa gli individui. Quindi tutti questi sostenitori della natura che insistono nel dire che è colpa dell’uomo non favoriscono la natura e nemmeno l’umanità ma il potere.

Ma come stanno veramente le cose, al di là del condizionamento sociale, dell’ingegneria della propaganda?

La natura ha uno scopo che si evince osservandola; la natura è una grande spinta evolutiva, dalla prima ameba, al primo pesce, al primo anfibio, al primo rettile, al primo uccello, al primo mammifero fino all’uomo la natura muove verso la libertà, crea forme sempre più evolute verso la libertà. Questa libertà, come ha spiegato benissimo il Buddha. è la libertà dalle apparizioni fenomeniche, cioè è il Nirvana, l’estinzione di tutte le apparenze fenomeniche. Nirvana è ciò a cui tende il mistico, a cui punta il meditante. La parola Nirvana significa estinzione. La natura muove verso l’estinzione, la morte è il fine della vita e questa è un’ovvietà che l’essere umano fa sempre finta di non vedere.

L’obiettivo della natura è svanire, estinguersi, è il Nirvana, cioè la dissoluzione di tutte le apparenze fenomeniche che sono illusorie, quindi la natura punta al Tao, al ritorno alle origini, alla non-separazione, alla non-esistenza, esattamente come il praticante di meditazione punta alla non-mente al samadhi, lo stato della non-mente.

Tutti i fenomeni accadono nella mente. Il meditante, puntando alla non-mente, punta all’estinzione dei fenomeni; la natura e il mistico hanno il medesimo obiettivo.

L’uomo primitivo – queste tradizioni sono sopravvissute grazie alle tradizioni spirituali e animiste, grazie allo sciamanismo – praticava i rituali della non-esistenza. Nella tradizione dello sciamanismo turco mongolo i rituali della non-esistenza, particolarmente nello sciamanismo tibetano himalayano, sono tramandati dal tempo delle origini. Ho descritto alcuni rituali della non-esistenza in uno dei miei primissimi libri: “Iniziazione allo yoga sciamanico”, un testo fondamentale che dovete assolutamente avere.

La natura tende a ritornare alla non-esistenza e il suo strumento principale è proprio la morte che è l’espressione principale del sacrum facere, l’offrirsi che produce lo svanire di tutti i fenomeni e ci consente di ritrovare l’unione con il divino.

Il nemico non è l’uomo, è sempre e solo la sua mente, quella mente che gli antichi chiamavano Ratio, la mente analitica che separa, una lama che se lasciata da sola a sé stessa e non più mediata da tutte le altre componenti, come per esempio il Logos, cioè la capacità di dialogare con l’invisibile, diventa il nemico.

Riguardo al Logos quando l’uomo  dialoga con Dio chiamiamo tale dialogo preghiera, quando Dio dialoga con l’uomo lo chiamiamo meditazione. Questa capacità di dialogare con l’invisibile è un’abilità della mente che viene tagliata fuori quando una società diventa iper-razionale e taglia fuori tante abilità della mente riducendola alla Ratio.

Ecco che allora la mente diventa il nemico e bisogna ritrovare gli altri poteri della mente riunificandola al cuore e alla fede. Allora la mente si amplia e ritrova sé stessa e diviene quel Pensiero del Cuore, come lo chiamava James Hillman, quella Mente Poetica, come piace chiamarla a me, quella Overmind o Sovramente, come la chiamava Aurobindo.

Questa mente è in grado di vedere veramente che cos’è la natura perché è una mente che unita alla fede nel Logos, nel dialogo con l’invisibile, non ha paura. Se guardi la natura attraverso occhi puri che non hanno paura riesci a vedere che è un grande movimento verso il Nirvana per ritrovare il Tao, lo stato della non-esistenza, che è lo stato della non-dualità, lo stato dell’amore.

Allora io penso che il problema, quando ci troviamo di fronte ad eventi come gli allagamenti e altri episodi estremi come le epidemie, sia che dobbiamo avere il coraggio di vedere la natura per ciò che essa è, cioè morte.

Abbiamo perduto la relazione autentica con la natura perché abbiamo perduto una relazione vera e autentica con la morte. Questo è il problema: abbiamo ucciso la morte, la morte è l’unica vera grande morta e sepolta nella nostra cultura e siccome abbiamo sepolto la morte quando costruiamo edifici ci dimentichiamo che può venire un terremoto, quando costruiamo le nostre città ci dimentichiamo che potrebbe piovere e ancora piovere e che potrebbero arrivare delle inondazioni e così costruiamo città che non solo non sono a misura d’uomo ma neanche a misura di un animale o di un fiore.

Abbiamo costruito città assolutamente incuranti della natura ma incurante della natura vuol dire anche incurante dell’uomo perché l’uomo è natura.

La natura che punta alla non-esistenza si serve anche dell’uomo, si serve del cervello, delle mani e delle braccia dell’uomo per manifestare quest’ombra che è l’aspetto tremendo del Divino, il Beato Tremendo, Shiva il grande distruttore che distrugge per rigenerare. Quindi la natura è anche Shiva, la natura è anche Maha Kali, la guerriera dei mondi, la dea con la spada, la falce e la collana di teschi al collo. Si servono del cervello umano delle mani e delle braccia dell’uomo. Quindi l’uomo è uno strumento della natura e l’unico peccato secondo gli Antichi era l’hybris, la tracotanza, l’arroganza dell’uomo che non si sente più uno strumento della natura nel suo operare, uno strumento degli dèi, della volontà Divina nella natura.

L’uomo pensa che il suo Io, che nemmeno esiste, che è un’illusione della mente, possa essere all’origine di ciò che accade. Questo modo di pensare oggi è estremamente diffuso ed è estremamente pericoloso perché aumenta sempre di più, in modo esponenziale, la separazione tra l’uomo e la natura che poi è la separazione tra la cultura e la natura perché l’uomo è cultura.

L’uomo è lo sciamano, è colui a cui la natura affida lo storytelling cioè l’arte di narrare sé stessa. Quindi l’uomo è colui che deve narrare la natura ma quando l’uomo si sente così distinto e separato dalla natura alla fine narra una natura che non è più reale, che è la natura che ha nella sua mente.

Quindi io credo che dobbiamo liberarci da questo senso di colpa e dobbiamo ritrovare la natura nella sua essenza di amore e, quindi, di volontà di darsi.

La natura punta alla non-esistenza ma il raggiungimento della non-esistenza deve essere una scelta libera e, quindi, in qualche modo deve avere una resistenza. Deve essere una scelta consapevole e affinché sia una scelta consapevole, una scelta d’amore, deve comportare una resistenza; questa resistenza è data dall’istinto di sopravvivenza che giustamente tutta la natura possiede e anche l’uomo deve possedere. Altrimenti come potrebbe  essere consapevole il darsi? E così la natura punta alla non-esistenza nutrendo l’istinto della sopravvivenza; questo che appare alla mente come contraddittorio è uno degli aspetti fondamentali della natura che è poetica e non analitica.

Una meditazione per non affogare quando ci sono gli allagamenti è proprio questo entrare dentro se stessi e sentire la contemporaneità di istinto di sopravvivenza e aspirazione al Nirvana, all’estinzione; sentire che finire, svanire, sparire è la cosa più grande che possiamo fare e simultaneamente sentire che l’istinto della sopravvivenza ci guida a una morte consapevole che non può essere però un atto di suicidio perché quello non è il darsi, anzi è l’estremizzazione dell’ego; sentirsi vivi al mille per mille e simultaneamente sentire l’aspirazione al Sacro all’offrirsi, allo svanire. Questa è la meditazione che ci porta a sentire ciò che siamo, a ritrovare l’essere naturale, l’unione con la natura e a risvegliare il nostro vero essere, che è essere strumenti della Madre, del Divino nella natura. Se veramente siamo strumenti del Divino nella natura sentiamo sempre la morte con noi in ogni momento e la scopriamo, anziché nemica, come una potente alleata: è la morte che ci aiuta a vivere secondo natura. È la morte che ci aiuta a costruire città che non crollano con i terremoti, che non si inondano quando piove, che ci ispira a costruire città a misura di animali, che ci aiuta a riavvicinarci alla natura. La morte è la nostra alleata più potente ma per ritrovarla come tale, anziché viverla come nemica, dobbiamo smettere di sentirci sempre in colpa nei confronti della natura perché questo sentirci in colpa intensifica la nostra paura, non fa altro che intensificare l’ansia, la paura, la sensazione di inadeguatezza e per conseguenza ci porta a rifugiarci sempre di più nella mente che ci separa dalla natura e, quindi, aggrava il problema.

Questa settimana facciamo questa meditazione per almeno un minuto al giorno, in stile OMI (One Minute Immersion) per aggiustare con l’oro la crepa della separazione che si è creata tra noi e la natura. Dobbiamo ritrovare nell’ombra la capacità di fare anima; la natura fa anima attraverso le emozioni di dolce tristezza, di nostalgia, di melanconia, di rabbia, di furore, di inadeguatezza, di impermanenza.

Quindi prendetevi  un minuto per stare semplicemente seduti in una postura che esprima un senso di nobiltà, con la schiena dritta e gli occhi chiusi, in silenzio, e cercate di sentire come le emozioni di tristezza, di rabbia, di angoscia, di imperfezione, di fragilità, di evanescenza, nutrano l’anima che è una dimensione ctonia, sotterranea, notturna, femminile. Cercate di sentire come potete utilizzare queste emozioni per fare anima e come la natura nella sua potenza distruttiva vi aiuti a fare anima coltivando queste emozioni.

Senti come dentro di te vi siano due forze apparentemente in contraddizione: la volontà di vita e la volontà che punta all’estinzione di tutti i fenomeni. Senti come queste due volontà sono presenti simultaneamente dentro di te e sono funzionali l’una all’altra perché la libertà è una libera scelta e, quindi, la forza che punta verso la libertà ha necessità di una resistenza, ma la resistenza non è il nemico, è funzionale alla forza e, quindi, queste due forze apparentemente opposte in realtà si nutrono e si potenziano l’una con l’altra: tanto più è potente la tua volontà di sentirti vivo, tanto più è grande la tua capacità di godere nell’osservare i colori della natura, la pioggia sulla tua pelle,  il tuo respiro, quanto più è potente dentro di te la volontà di darti, di finire, di svanire. Queste due forze sono in contraddizione solo per la mente razionale ma nel pensiero del cuore si potenziano l’una con l’altra.

Ciò che tu sei non è né la vita né la morte, è al di là di entrambe, è unicamente la relazione tra vita e morte tra esistenza e non-esistenza, e questa relazione è un darsi incessante per amore.  Quindi non devi mai avere paura e sentirti in colpa, perché è il senso della colpa a generare la paura. Tutto è puro per i puri!

Per questa meditazione possiamo aiutarci con il mantra “Ka Ji”. Pronuncia Ji esalando, coltivando la volontà di essere vivo e Ka inalando, coltivando la volontà della non-esistenza e dissolvendo ogni cosa. Come diceva Abhinavagupta nel Tantraloka, nell’esalazione si ha il giorno, nell’inalazione la notte: esalando manifesto ogni cosa, la volontà stessa di esistere, e inalando riassorbo le proiezioni e torno nel Tao nella non-esistenza.

Vi abbraccio!

paola.bertoldi@gmail.com

paola.bertoldi@gmail.com