Lo yoga è l’atto dell’affermazione della libertà e dell’immortalità a mezzo della vittoria dell’amore sulla paura. La libertà è la libertà dai valori mondani, la capacità di andare al di là del bene e del male e di riunificare tutti gli opposti. Questo stato – che è la condizione in cui tutto è puro fin dall’origine, omnia munda mundis– ristabilisce l’equilibrio primevo l’ordine universale, sciogliendo la colpa e la paura. Chi non ha paura non serra le porte dei propri sensi, non si rintana nel proprio io, non si chiude alla visione sottile, non contrae i canali percettivi, allora vede il visibile e l’invisibile e conosce la vera natura di tutte le cose: egli è incessantemente consapevole nel ciclo vita-morte-vita e non cade nella fossa dell’inconsapevolezza attraversando la grande soglia, rimane vigile e attento e sempre memore di sé. Questa condizione non è mai permanente quando si possiede un corpo umano, ma è acquisibile attraverso l’estasi.
Se si osserva attentamente la vita da una parte e lo yoga dall’altra, ci si accorge che tutta la vita è, in modo cosciente o subcosciente, yoga. Con questo termine, infatti, intendiamo uno sforzo metodico di perfezione di sé attraverso il manifestarsi di potenzialità latenti nell’essere e la ricongiunzione dell’individuo amano con l’Esistenza universale e trascendente che vediamo parzialmente espressa nell’uomo e nel Cosmo.
Sri Aurobindo, “La sintesi dello yoga”
L’Unione con il Divino
Il termine yoga viene riferito alla radice sanscrita “yuj”, che significa “unire”, “aggiogare”. Infatti nei Veda si trovano termini correlati alla radice “yuj” e fanno riferimento all’atto del dominare i propri sensi e la propria mente al fine di utilizzarla come uno strumento del cammino di liberazione anziché essere schiavi del condizionamento esercitato dal mondo attraverso i sensi. Nelle Upaniṣad vediche, in particolare nella Maitrī Upaniṣad, VI.18, lo yoga viene descritto come un sentiero speculativo che permette di “vedere” l’invisibile e di riunificare dunque i due universi: umano e divino.
“… allorché un veggente vede l’Aureo, il Fattore, il Signore, lo Spirito, il Brahman, la Matrice, allora egli sa, avendo abbandonato il bene e il male, realizza la onniunità nel Supremo inalterabile”. (Maitrī Upaniṣad, VI. 18, traduzione di Pio Filippani Roncononu, in Upanisad antiche medie, Torino, Boringhieri, 2007, p. 406).
Anche nella Bagavad Gita lo yoga non è presente come una tecnica psicofisica o una filosofia strutturata, bensì come atto di ampiamento della visione e del cuore e unificazione con il divino.
Ciò porta a considerare che quello che comunemente viene definito come “yoga”, e cioè un insieme di tecniche psicofisiche a carattere ginnico o a sfondo psicologico o filosofico, ben poco ha a che vedere con lo yoga antico e tradizionale.
Lo Yoga Protostorico è Sciamanico
Lo yoga più antico, protostorico è sciamanico. In quanto atto di visione dell’Assoluto, esso esprime lo stato dell’estasi sciamanica. Inoltre, “Considerate le origini protostoriche dello Yoga classico non è però affatto da escludersi l’esistenza di forme intermedie di Yoga sciamanico” (Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, op cit. p. 442).
Tuttavia Eliade distingue tra estasi sciamanica e enstasi (termine che conia egli stesso) yoghica: “Devesi sottolineare la differenza strutturale esistente fra Yoga Classico e sciamanismo: benché anche il secondo conosca tecniche di concentrazione, pure il suo scopo finale resta sempre l’estasi e il viaggio estatico dell’anima nelle varie regioni cosmiche, mentre lo Yoga persegue l’”enstasi”, la concentrazione suprema dello spirito e l’evasione dal cosmos.” (Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi op cit. p. 442).
Questa ci appare una differenza di percorso, non di arrivo. Quando lo yoga si codifica in un tracciato di pratiche psicofisiche, etiche e filosofiche indica una via verso l’estasi che non è più immediata, come quella dello sciamano. La differenza fondamentale può essere nel fatto che, mentre lo sciamano è eletto, prescelto per l’estasi, lo yoghin acquisisce la capacità di unirsi all’Assoluto mediante un percorso di concentrazione e ritiro dai mondi.
Questo può trovare conferma nel fatto che nello yoga sciamanico tibetano lo yoghin che, nella fattispecie è altresì uno sciamano, non segue alcun percorso tracciato per entrare nell’unione con l’Assoluto. La sola consegna è abbandonarsi, cessare ogni sforzo, lasciare andare speranze e paure.
Ecco cosa dice quel grande yoghin e sciamano che fu il maestro di Naropa, il leggendario Tilopa: “Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto.” “La suprema meditazione è non essere distratti”. “La suprema condotta è assenza di sforzo”. “La realizzazione della meta è non avere né speranza né timore”. (Tilopa, traduzione di Giuseppe Baroetto, in Il Grande Sigillo, edizioni Promolibri, Torino, 1997, p. 31)
E ancora: “La vera natura della coscienza è chiarezza al di là delle immagini”. “La meta della via degli esseri risvegliati è conseguita senza una via da percorrere”. “Il sommo risveglio è conseguito senza qualcosa da praticare”. (Tilopa, in Il Grande Sigillo op. cit. p. 33).
Lo yoga non è certo un fenomeno specifico di alcuna particolare tradizione hindu. Il medesimo termine sanscrito, con significato analogo, si trova anche in ambito buddhista, giainista e persino andino e islamico.
Si parla pertanto di uno yoga himalayano sciamanico e persino di uno yoga andino sciamanico che esprimono i temi della mistica sciamanica, dell’erotica sciamanica e della poetica sciamanica.
Per quanto riguarda l’Islam, invece, “con il diffondersi dell’Islam fra i Turchi dell’Asia centrale certi elementi sciamanici furono assimilati dai mistici mussulmani”. (Mircea Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, op. cit. p. 428). Il sufismo può essere considerato come una forma di yoga islamico. Esso ha tratti fortemente sciamanici poiché ricerca la trance estatica e, nell’estasi, l’unione con l’Assoluto.
In generale, lo sciamano è il portatore del ricordo dell’umanità del tempo delle origini, quando umano e divino, visibile e invisibile, vita morte, individuo e cosmo erano distinti ma non separati e godevano l’estasi della loro unione. Non deve stupire, dunque, che lo sciamanismo sia stato assorbito da quei cammini spirituali che puntano al ritrovamento dello stato di non dualità, primo fra tutti lo yoga.
L’importanza del Lignaggio
Da sempre lo yoga è trasmesso in lignaggi iniziatici. Non si può pensare di praticare uno yoga senza essere stati iniziati da un maestro all’appartenenza ad un lignaggio.
Il lignaggio dello yoga sciamanico è certamente il più antico e riamane trasversale rispetto alle vie spirituali che perseguono la libertà e la riunificazione dell’umano al divino a mezzo di un’esperienza diretta.
Il lignaggio sciamanico dello yoga non è geograficamente né storiograficamente classificabile: a causa della sua primitività e trasversalità, si può trovare in India come in Siberia, nelle regioni Himalayane o tra i sufi dello Yemen.
Personalmente ho iniziato il mio percorso grazie all’iniziazione di un maestro nell’isola di Sri Lanka e successivamente ho trascorso ampi periodi di tempo con gli sciamani della Siberia, con i monaci eremiti birmani e dello Sri Lanka, con gli sciamani della Siberia e del Myanmar e ho visitato e trascorso periodi di tempo discretamente lunghi nei monasteri lamaisti del Bhutan, del Tibet, del Ladakh e del Nepal, ho anche celebrato il rituale cosiddetto della Chakra Puja a Guwahati in Assam con gli yoghin esponenti del tantrismo sciamanico. Ho praticato rituali con sciamani andini, peruviani, messicani, argentini, esponenti, a loro stesso dire, dello yoga sciamanico andino.
Parlare di yoga sciamanico non è facile, anche se ci si è immersi nella materia per tutta una vita. In un mondo, quello dello sciamanismo, dove l’unica regola è non avere regole, i confini non esistono: sciamanico è ciò che in ogni cammino spirituale ha a che fare con l’estasi e quindi con il contatto diretto tra umano e divino e con il viaggio attraverso i mondi invisibili. Lo yoga sciamanico è ora hindu, ora buddhista, ora islamico e ora indoeuropeo.
Il sapere, nel mondo attuale, è sempre più specialistico e i campi della conoscenza sono sempre più settoriali. Un seminario sullo yoga sciamanico deve poter spaziare da Oriente a Occidente senza timori, come uno sciamano deve poter viaggiare di mondo in mondo per cogliere ed evidenziare quel cuore pulsante comune a tutte le tradizioni spirituali dell’estasi. Io stessa ho viaggiato per trent’anni e credo di aver conosciuto solo una piccola parte delle espressioni di quel fenomeno antico e universale che è lo yoga sciamanico. Devo dire però una cosa, ovunque arrivavo, qualunque sciamano e yoghin incontravo: da Sheikh Sadiq, in Yemen, da Kazimir e Svetlana in Altai, dai lama e dai tulku del Bhutan, da Wai Lan Lan in Birmania, da Kuntur in Argentina, da Tonatiuh Mecika in Messico, da Michael Williams in Sri Lanka, c’era sempre un riconoscersi immediato. Solo questo basterebbe a comprendere che la conoscenza sciamanica avviene ad altri livelli rispetto a quelli cognitivi comunemente noti e non ci si può aspettare che rientri nelle comuni categorie del sapere.